Sono piombato in un inconfondibile senso di solitudine. Ho voglia di dormire… non per stanchezza ma per nostalgia dei sogni. Ho gli occhi troppo stanchi per guardare lontano… preferisco chiuderli… lasciarmi andare… perdermi in questa improvvisa e latente solitudine… nel dolce oblio del silenzio… tra sussulti di verità… che continuano a scavare… a cercarmi… anche dopo avermi scovato… intenti a soffocare ogni impulso col tentativo di avvelenarmi.
Sto perdendo pezzi… parti di me non esistono più… altre si dissolvono… altre ancora esigono il distacco da questa vita… da tutto ciò che per me era vita… fatta di affetti e di certezze che si sgretolano.
Il cambiamento mi obbliga a fare i conti con me stesso. E quando lo scontro si fa duro è necessario anche soffrire per imparare a essere migliori.
Tentare di vivere come se le ferite non vi fossero è davvero inutile. L’indolenza impone una accettazione subdola della sofferenza. Si annida nella mente in modo perverso e la rende marcia. E anche se la mente non vuole ci pensa la coscienza ad esigerlo… e il buon senso a pretenderlo.
Questo accade quando mi illudo di poter dominare il mio temperamento congelando l’istinto. Quando comincio a smettere di sognare e di fare follie tarpando le ali ai pensieri… obbligandoli a resistere dentro un recinto… tra quattro pareti.
È così che si comincia ad alzare muri. Prima per ripararsi e sentirsi stupidamente al sicuro… poi per restarne prigionieri… senza esserne del tutto consapevoli.
Trasformare una esperienza dolorosa in trauma è la vera follia… e non voglio che accada. L’ho fatto in passato per giustificare l’incapacità di crescere… di andare avanti… di spezzare tutte quelle catene che imprigionano l’esistenza… e che continuano a lasciarmi sospeso tra terra e cielo… obbligandomi a vivere di questi giorni… che come una commedia patetica sembrano non finire mai.
Non posso accettare e tollerare una vita arida. Voglio che sgorghi dal vissuto… dalle ferite… soprattutto quelle nuove che sembrano vecchie… e dalle vecchie che si riaprono… e si manifestano con tutta la loro brutalità.
Questi anni… questi mesi… soprattutto gli ultimi… li ho vissuti come un esodo… sentendomi spesso fuori di me. Tutto questo è meraviglioso e merita la salvezza.
Questa esperienza ha reso ancor più chiaro il bisogno di avere un riferimento… di salvare uno spazio umano dove non condividere solo sogni e progetti… ma anche emozioni… legami… azioni… piccoli e significativi gesti quotidiani.
Il rischio che ci si possa dis-umanizzare esiste… anche di fronte alla morte che avanza.
La vera sfida è portare anche dentro questi collassi emotivi il proprio essere autentici. Anche fragili… anche incerti… anche arrabbiati e spaesati… ma autentici. Mettendoci l’anima per intero e non fatta a fette… insieme alle paure… i dubbi… le frustrazioni… i desideri… le speranze… e le utopie.
Questa sfida con me stesso l’ho colta ancora una volta… scegliendo di mettere a fuoco e fiamme le mie energie… pur sapendo quanto sia faticoso dover raccontare… non con il sorriso ma con le parole… quanto sta accadendo.
Questa è la lotta che mi aiuta a non inaridire… a tenere i piedi nel terreno umido e fecondo di una immagine di me ancora integra e viva.
Ho veramente bisogno di resistere lasciando che anche questa esperienza mi plasmi. Il cambiamento non è solo quello materiale e visibile… ma anche quello lento… sotto traccia… che si edifica giorno dopo giorno… anche a mia insaputa… e che declina in modo altro ciò che nell’immaginario è rivestito di ragnatele… di foglie secche.
Una forza dal sapore buono esiste e si respira nell’universo. Ha inizio da un sapersi stare accanto profondo… anche nelle avversità… nei conflitti interiori.
Ho camminato all’aperto… sotto il cielo silente… lungo un corso d’acqua immaginario che scorre quieto… pieno di mistero… che commuove e sommuove gli abissi dell’anima. E adesso riposo non per stanchezza ma per nostalgia dei sogni.